Non finisce il calvario di Pittelli: l’avvocato torna in tribunale, i Pm lo vogliono in cella (da Il Riformista)
di Tiziana Maiolo
Sarà in tribunale nella giornata di oggi Giancarlo Pittelli, attualmente in detenzione domiciliare, ma con il rischio di dover tornare in carcere, dopo il ricorso, firmato da ben quattro pm della direzione antimafia, tra cui il capo della procura di Catanzaro Nicola Gratteri, che lo rivogliono prigioniero in una cella. Come se non bastasse quel che l’avvocato calabrese ha già sofferto in questi due anni e mezzo, prima nel carcere speciale di Badu ‘e Carros, in Sardegna, poi a casa, poi ancora in un istituto di massima sicurezza a Melfi, in Basilicata, fino a uno sciopero della fame estremo che lo ha infine rimandato a casa.
E intanto continua, con la raccolta di ormai quasi tremila firme, la campagna promossa dal suo ex compagno di scuola, l’instancabile Enrico Seta, che si è trasformata in manifestazione contro un certo uso della custodia cautelare e in difesa dei sei referendum sulla giustizia. A un banchetto dove si distribuivano volantini a Roma si è anche presentato a firmare un signore inglese che ha dichiarato di essere Banksy e di essere solidale in quanto lui stesso sarebbe infastidito e “attenzionato” dalla magistratura italiana. Chissà? Il tribunale cui si presenta oggi Pittelli dovrebbe, in teoria, decidere semplicemente se sussistono i requisiti previsti dal codice di procedura penale che giustifichino la detenzione in carcere, che sono sempre i soliti tre –pericolo di fuga, di inquinamento delle prove o di reiterazione del reato – e che in questo caso sono proprio inesistenti. Anche perché il processo Rinascita Scott, in cui Pittelli è imputato, è in corso da tempo, le prove, ci siano o meno, sono tutte lì sul piatto, l’idea che l’ex parlamentare possa scappare è semplicemente ridicola e il timore che possa ripetere il reato, anche. Soprattutto perché il reato di cui deve rispondere davanti al tribunale nell’aula bunker di Lamezia Terme è quell’evanescenza che si chiama concorso esterno in associazione mafiosa. E come si fa a ripetere un’evanescenza?
La verità è che Giancarlo Pittelli non dovrebbe essere neppure ai domiciliari, che sono pur sempre una forma di detenzione. Avrebbe tutto il diritto a essere processato da uomo libero. Nei giorni prossimi potrebbe esserci un’istanza dell’avvocato Stajano (uno che non si arrende), che assiste Pittelli insieme al collega Contestabile. Ma è difficile lottare contro i mulini a vento. Perché, nel ricorso presentato dalla procura al tribunale perché rimetta le manette ai polsi dell’avvocato, l’aspetto delle esigenze cautelari è totalmente trascurato. Si scrivono invece pagine e pagine per descrivere la personalità dell’imputato. E si tirano conclusioni, quasi fosse già una sentenza. Di condanna, naturalmente. È palesemente messo in discussione il suo ruolo di avvocato. Avvocato penalista in una regione del sud, la Calabria. È molto chiaro che questa tipologia di magistrati, in particolari quelli “antimafia”, soffre tantissimo l’esistenza del legale al fianco dell’imputato. Il loro ideale è un prigioniero nelle loro mani, possibilmente incline alla collaborazione dopo aver assaggiato un po’ di 41 bis in qualche carcere speciale. Gli esperimenti effettuati a Pianosa e Asinara negli anni 1992-93 sono stati esemplari.
Tra le contestazioni di cui deve rispondere l’avvocato Pittelli alcune sono tra il paradossale e il fantascientifico. Si concentrano sul fatto che il rapporto legale-cliente, nel caso di Luigi Mancuso, pare essere troppo confidenziale. Per esempio, i due si danno del “voi” invece che del “lei”, e poi l’avvocato Pittelli si dà da fare per un bambino della famiglia del suo assistito forse malato di leucemia, e ancora si offre di dare una mano alla figlia nella facoltà di medicina. E persino consiglia a un gregario di Mancuso un’enoteca dove trovare un certo buon vino. E’ chiaro che in tutto ciò non c’è nessun reato, ma il tutto serve a dare un quadro del “tipo d’autore”, il mafioso “esterno”.
Ma ci sono poi le intercettazioni su questioni più concrete. Per esempio basate sul sospetto che il legale faccia un po’ da passaparola tra mafiosi, che legga carte coperte dal segreto, che faccia soffiate. Ma non tutto quadra. Una volta perché viene aggiunto un avverbio là dove non dovrebbe essere: “io non posso dargli consigli perché non sappiamo che cosa dirà il pentito”, diventa “non sappiamo ANCORA”, come se si attendesse di sbirciare il verbale secretato.
Un’altra volta perché si allude a un altro collaboratore di giustizia e alle sue accuse nei confronti del fratello, di cui comunque la stampa aveva già parlato. Insomma, pare tutto se non pretestuoso, almeno approssimativo. E sarebbe scandaloso se il tribunale, dopo l’udienza di oggi, non confermassi i domiciliari per Pittelli. E poi, nei giorni successivi e dopo l’istanza dei difensori, non decidesse che questo imputato per reato evanescente possa esser mandato a processo da uomo libero. Almeno questo. Se lo chiede anche Bansky…
- Posted by riformagiustizia
- On Marzo 22, 2022
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